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La pace in Medioriente ha bisogno di energia

Solo poco tempo fa Mike Pompeo, Segretario di Stato Usa, ha concluso il suo giro mediorientale. Un viaggio controverso, che è servito in primis a rassicurare gli alleati nella regione, nell’ottica di tirare le fila della complessa situazione nell’area.

Tra l’altro, Pompeo, è stato in Libano, paese da sempre al centro delle delicate trame politiche mediorientali. Per l’occasione Roudi Baroudi, imprenditore dell’energia libanese, personalità si spicco nel mondo degli affari del Mediterraneo, e apprezzato columnist di vari quotidiani, ha scritto una lettera aperta al Segretario di Stato. Il tema è quello cruciale nella regione. Si parla, appunto dei rapporti tra Israele e Libano sul versante dell’Energia.

«Vari giacimenti di primo piano di idrocarburi sono stati scoperti nel mar Mediterraneo orientale, questi giacimenti offrono un’opportunità storica per migliorare l’economia della zone. Sfortunatamente, il provvido sfruttamento di queste risorse viene rallentato, se non bloccato, perché pochi stati hanno definito i confini marittimi con i loro vicini. Ci sono 12 frontiere tra i sette principali stati costieri» Nota Baroudi. «Solo due di essi sono stati definiti con trattati bilaterali. In una regione che contiene oltre mille miliardi di dollari di petrolio e gas, quindi, l’83 per cento dei confini marittimi rimane irrisolto, con rischi significativi per lo sviluppo in diversi paesi».

Avverte Baroudi: «Fortunatamente le moderne tecnologie di mappatura ora consentono alle applicazioni satellitari di risolvere le controversie offshore, e di farlo con relativa facilità e precisione quasi assoluta». Secondo l’analista libanese «l’argomento più importante» della visita di Pompeo «è stato il progetto degli Stati Uniti per favorire l’accordo sui confini marittimi nel Mediterraneo orientale, in particolare quello tra la Zona Economica Esclusiva tra Libano e Israele». Il grande gioco verte su chi possa sfruttare i giacimenti offshore.

«Nonostante la difficile posizione del loro paese e del sistema di governo imperfetto, i libanesi – secondo Baroudi – esibiscono tremendi poteri di resilienza. Ma questo ciclo non può continuare indefinitamente, specialmente quando il debito nazionale equivale a oltre il 150 percento del Pil. In una recente conferenza di aiuti a Parigi, i paesi donatori hanno chiarito che i loro impegni non si concretizzeranno se e fino a quando il Libano non attuerà riforme radicali, misure anti-corruzione serie e altri passi significativi per mettere ordine dal punto di vista finanziario. Ora, proprio grazie ai nuovi giacimenti offshore potrebbe iniziare una nuova era. Se e quando inizierà la produzione, l’impatto sarà a dir poco rivoluzionario. «Il Libano diventerebbe un esportatore di energia, avrebbe i mezzi per effettuare investimenti senza precedenti in strade, scuole, ospedali. Le entrate del gas potrebbero anche sradicare la povertà e accompagnare le disuguaglianze sociali che forniscono ai gruppi terroristici campi di reclutamento così fertili».

Appunto secondo Baroudi, opinionista autorevole, il prestigio degli Usa nell’area si gioca sulla capacità di mediare tra Libano e Israele sulla questione dei giacimenti di gas offshore. Alcuni, in LIbano, sospettano che lo scopo di Washington non sia quello di facilitare un accordo equo, ma piuttosto di imporne uno sbilanciato che favorisca Israele. «Qualsiasi governo libanese che firmi un tale accordo dovrà affrontare una significativa perdita di legittimità percepita» ammonisce Baroudi. Che sottolinea, appunto, il ruolo costruttivo degli Stati Uniti. «Se l’America agisce come arbitro, un simile esercizio di fair play potrebbe dare all’intera regione la possibilità di disinnescare le tensioni e cambiare direzione D’altra parte, se gli Usa decidessero di agire principalmente come difensore israeliano, non sarà possibile per il governo libanese accettare alcuna proposta». Come si vede, anche nello scacchiere del Mediterraneo dell’Est, la prima discriminante rimane l’energia.

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