La Cop26 di Glasgow: le linee guida per i Paesi del Mediterraneo

Roudi Baroudi: un appuntamento fondamentale per definire strategie politiche economiche efficaci a contrastare il cambiamento climatico.

Il noto esperto a livello internazionale in campo energetico Roudi Baroudi, pone in evidenza una riflessione in concomitanza con l’imminente arrivo della conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26) che si terrà quest’anno a Glasgow.

Baroudi definisce questo appuntamento memorabile e storico in particolare per i paesi del bacino del Mar Mediterraneo, Italia compresa. Fa osservare che l’aumento delle temperature e la crisi climatica globale è in atto e gli eventi dell’estate 2021 ne sono la testimonianza reale.

Il fenomeno degli incendi, per esempio, si manifesta con dimensioni e intensità insolite rispetto al passato ed anche nel caso di attività dolosa l’aridità circostante e le alte temperature hanno favorito la propagazione violenta nelle aree colpite generando numerose morti, danni alle proprietà e distruzioni dei terreni agricoli coltivati. In casi come quello della Turchia seguiti da forti inondazioni dovute a piogge torrenziali dopo pochi giorni.

Questi fenomeni non sono più eventi sporadici localizzati in determinate aree, ma costituiscono una vera e propria testimonianza della catastrofe climatica in atto.

Questo ci impone di moltiplicare gli sforzi e sperare di poter invertire la tendenza prima che raggiunga un punto di non ritorno. Se non andremo in questa direzione, continua Baroudi:” la nostra specie dovrà affrontare un futuro sempre più complesso con più incendi, innalzamento del livello del mare, accelerazione dell’acidificazione degli oceani, calo degli stock ittici, tempeste più violente, siccità più lunghe e intense, raccolti compromessi, milioni di rifugiati climatici e fame di massa”.

Svariati paesi del Mediterraneo, specialmente appartenenti ad Asia ed Africa hanno già situazioni complesse dal punto di vista territoriale per via della posizione geografica (Sud Italia incluso), inoltre i paesi con meno disponibilità economica fanno ancora molta fatica nella conversione ad impianti con minor impatto ambientale.

Nonostante questo scenario apocalittico, incalza Baroudi, non tutto è perduto. L’Unione europea ha compiuto progressi importanti rispetto alla maggior parte del resto del mondo e sta adottando delle politiche più stringenti sulle emissioni.

Anche gli Stati Uniti stanno intensificando i propri sforzi dopo quattro anni di cambio rotta sotto l’amministrazione Trump. In tutto il mondo, finalmente, si sta avendo maggiore consapevolezza del problema in maniera più trasversale dal pubblico al privato.

Alla COP26, i leader ed i referenti politici dei paesi partecipanti dovrebbero lavorare costruttivamente ed ascoltare scienziati ed attivisti che chiedono un’azione più rapida ed efficace, inclusa una maggiore assistenza finanziaria per aiutare i paesi meno fortunati a unirsi seriamente alla lotta per il cambiamento climatico.

I programmi che i paesi del Mediterraneo porteranno a Glasgow saranno cruciali perché, nonostante la situazione in atto, la maggior parte di questi stati ha un vantaggio territoriale: ampi spazi e condizioni quasi ideali per le turbine eoliche offshore. Uno studio recente, che utilizza una varietà di tecnologie per elaborare dati previsionali, stima il potenziale combinato di energia eolica di tutti i 23 paesi euro mediterranei (in modo alquanto prudente) a quasi 1,5 milioni di megawatt. Si consideri che l’intera industria nucleare mondiale ha una capacità di circa 400.000 MW, ovvero meno di un terzo di quella che il Mediterraneo potrebbe produrre solamente con impianti eolici. Senza calcolare l’impiego di altre tecnologie: l’idrocinetica sia fluviale che marina (onde e maree), geotermica (on e offshore) e solare (200.000-300.000 MW).

Questa strategia darebbe una propulsione allo sviluppo di molti paesi che oggi hanno uno scarso accesso all’energia elettrica a prezzi accessibili, inoltre l’indotto relativo alle costruzioni degli impianti darebbe nuovi posti di lavoro oltre a molteplici benefici: la possibilità di sostituire i vecchi impianti di produzione più inquinanti, ridurre gradualmente l’importazione di carburanti fossile, rivendere nella rete l’eccesso di produzione energetica ed investire il ricavato in infrastrutture, politiche sociali o ulteriori impianti green.

Uno sviluppo omogeneo delle rinnovabili favorirebbe la transizione progressiva dai combustibili fossili, riducendo le emissioni di carbonio che causano il cambiamento climatico e quindi facendo gli interessi di tutti, ovunque.

Queste proiezioni positive non si avvereranno mai per osmosi. Molti paesi nel Mediterraneo hanno bisogno di assistenza finanziaria e tecnica per mettere in pratica i progetti di conversione. L’accordo di Parigi includeva impegni economici da parte degli stati più ricchi per finanziare i paesi più bisognosi, ma molti governi non hanno rispettato l’accordo. Questo è controproducente, proprio come la mancata distribuzione del vaccino contro il COVID ai paesi del Sud del mondo, un errore imperdonabile che non solo determina la morte di persone innocenti, ma crea anche terreno fertile per nuove varianti del virus. Se la transizione verso un’energia più pulita creasse difficoltà alle popolazioni già svantaggiate, potrebbe venire a mancare il sostegno popolare verso questo percorso, con conseguenze terribili per tutti noi. Se lasciato incontrollato, il cambiamento climatico potrebbe provocare morte e distruzione ovunque creando flussi migratori ingestibili.

Roudi Baroudi conclude esortando la COP26 a produrre nuovi programmi di finanziamento da parte dei paesi ricchi verso quelli più poveri senza creare situazioni di assistenzialismo. Ci sono moltissime risorse a disposizione e c’è poco tempo per agire, quindi gli stati finanziatori non possono permettersi di sbagliare. I prestiti agevolati andranno messi a disposizione per i paesi più virtuosi che garantiranno la finalizzazione dei progetti. L’unico modo per farlo è articolare una strategia coerente per eseguire progetti rilevanti e fattibili con tempi e budget ben definiti. In particolare, i governi regionali devono dissipare i timori giustificati che, i fondi destinati ai progetti per le energie rinnovabili o ad altri strumenti di de carbonizzazione, andranno invece a riempire le tasche di funzionari locali corrotti.

Queste sono le linee guida che deve seguire quest’anno la conferenza di Glasgow. La lotta ai cambiamenti climatici è ampiamente considerata come la sfida più importante che la nostra specie abbia mai affrontato e la capacità della regione di proteggersi e di esercitare il proprio peso sarà in bilico alla COP26. I paesi che si presentano con piani ben sviluppati per progetti concreti avranno la strada spianata per varie forme di finanziamento. Coloro che non lo faranno saranno inevitabilmente tagliati fuori.